venerdì 27 aprile 2007

I cecchini della Legge Mastella

Tra Pasqua, feste nazionali e congressi di partito, ad aprile le Camere sono rimaste chiuse per circa venti giorni. Una mega vacanza da fare gola a qualunque lavoratore. Eppure, da micidiali cecchini quali sono, i parlamentari hanno colto l’attimo per approvare a Montecitorio il disegno di legge Mastella. Quando serve, la loro efficienza si spinge a livelli invidiabili.

Cosa impone la Legge Mastella, approvata con formidabile rapidità da tutti i partiti, tranne sette singole astensioni, proprio mentre l’attenzione dei media era assorbita dai congressi di Ds e Margherita? Impone il silenzio stampa sulle intercettazioni telefoniche, sui verbali di interrogatorio e sulle indagini della magistratura.

Per dire, con questa legge gli scandali degli ultimi anni sarebbero giunti a dir poco sbiaditi agli occhi dei cittadini: banche disoneste, furbetti del quartierino, calciopoli, vallettopoli e prima ancora Cirio, Parmalat, tangentopoli e chi più ne ricorda più ne metta.

Possiamo tollerare che i potenti non conoscano vergogna quando si tratta di mettere al riparo la loro immagine e la loro spudorata impunità. E passi pure che l’Unione invece di ripristinare la legalità dopo il quinquennio berlusconiano, stia maciullando la buona fede di chi l’ha votata. Che bella coerenza: mentre dal pulpito dei congressi si magnificava la nascita del partito democratico annunciando una nuova etica di governo, alla Camera tutti pigiavano il “sì” alla legge-bavaglio.

Insomma, passi tutto questo. Ma il dramma è lo spaventoso danno all’indotto radiotelevisivo e della carta stampata. Se la legge verrà approvata anche al Senato, chi risarcirà i cronisti di giudiziaria, i fuoriclasse del gossip, gli acrobati dello scandalo e con essi i milioni di italiani che vivono solo nutrendosi di scoop peccaminosi?

Interi palinsesti saranno cancellati in tronco, i tg dureranno dieci minuti, i giornali avranno sì e no una dozzina di pagine, i fotografi dovranno castigare il loro talento, i tuttologi e gli opinionisti saranno ridotti sul lastrico. Forse anche questo post diventerebbe di un paio di righe.

Prospererà il mercato nero degli atti giudiziari. Come l’alcol ai tempi del proibizionismo, circoleranno copie clandestine delle conversazioni tra Fiorani e Fazio, registrazioni taroccate delle macchinazioni di Moggi, nastri contraffatti dei ricatti di Corona, foto proibite dell’intimità di Totti.

Drappelli di cittadini sovversivi si riuniranno nottetempo per una lettura collettiva di un avviso di garanzia, altri importeranno illegalmente verbali di interrogatorio Made in China, i più temerari si intrufoleranno nei tribunali per rubare faldoni di valore inestimabile.


Sulla Legge Mastella Piero Ricca ha scritto un post di grande efficacia e semplicità, che vi farà masticare amaro. Per chi non ha paura di arrabbiarsi davvero, c’è questo circostanziato articolo di Marco Travaglio.
sanzioni giornalisti divieto pubblicazione intercettazioni ambientali censura processi centri di ascolto
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lunedì 23 aprile 2007

Enzo Biagi dica grazie a Berlusconi

Eppure Enzo Biagi dovrebbe esprimere un minimo di gratitudine a Berlusconi. Scopriamo ora che l'editto bulgaro del 2002 con cui Silvio denunciava l'uso criminoso della tv pubblica era a fin di bene.

Per cinque anni ha evitato a Biagi la pena di andare in video con un filo tremolante di voce, le mani malferme, lo sguardo vitreo, l'articolazione mal riuscita delle parole, gli 87 anni che pesano come macigni.

E difatti ieri bastava seguire per pochi minuti Rotocalco Televisivo, il suo nuovo programma, per impietosirsi di fronte all'innaturale accanimento televisivo a cui lui stesso ha scelto di sottoporsi.

Qui non discutiamo dei contenuti, ma dell'apparenza. Biagi non parla, esala. Non muove il corpo, lo trascina. Non guarda la telecamera, la contempla. Persino il suo battito di ciglia è affaticato. E forse anche la mente gli si è stancata se è vero che ha chiesto all'ex magistrato Gherardo Colombo "La giustizia è uguale per tutti o per qualcuno è più uguale?".

Evidentemente si sentiva costretto a riprovarci, se non altro per l'orgoglio di non finire la carriera da esiliato. Auguri comunque, ma è più dignitoso leggerlo sul giornale che guardarlo in tv.
rai tre enzo biagi michele santoro daniele luttazzi diktat berlusconi sofia
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giovedì 19 aprile 2007

La pazza commedia del Partito Democratico

Si scrive Democratico, si legge Scemocratico. La frittata in salsa rosa sta per essere servita con un weekend da urlo in cui rifulgeranno ben due congressi due, Ds a Firenze e Margherita a Roma. Un ideale amplesso procreativo a distanza per concepire il nuovo rampollo della politica.

Ma come! Qui si gettano le basi del paese che verrà, si lancia una sfida storica, si compie un passaggio epocale per la democrazia e per gli italiani. In realtà questo sarebbe l’auspicio di molti, senonché intorno al partito democratico s’è creata una compagnia di giro che vincerebbe per kappaò con qualsiasi reality televisivo.

Non a caso la sacra adunata della Margherita avviene nello studio 5 di Cinecittà, lo storico teatro di posa che nei decenni ha sperperato tutta la sua gloria: dai film di Fellini è degenerato al programma di Gianni Morandi, fino al baratro di Amici, la trasmissione condotta – come direbbe Beppe Grillo – dal marito di Maurizio Costanzo. A completare questo inabissamento pluridecennale era giusto che fosse il congresso degli ex Dc.

I diessini, invece, hanno scelto il Nelson Mandela Forum a Firenze, dove a maggio ci sarà la satanica esibizione di Marilyn Manson. Per Fassino è l’occasione della vita: con un po’ di matita agli occhi mai e poi mai qualcuno si accorgerà della differenza e vai con la carriera rock!

Attorno ai congressi, intanto, è il panico. Presto, presto, fate il partito subito, ora, mo’, all’istante, zac! No, dicono Mussi, Angius e Salvi, fermi tutti o ce ne andiamo! Ah sì? E allora il deputato Roberto Giachetti inizia lo sciopero della fame, a tutt’oggi quasi di 40 giorni, pur di ottenere una data certa per la Costituente. Giachetti, senti un consiglio: magna.

E nel frattempo già si parla di Prodi che lascia tutto in eredità a Veltroni. Bella eredità, nel 2005 l’attuale premier ha dichiarato un reddito di 89.000 miseri euro, ma dove si presenta. Se lo sa Walter, come minimo lo manda alla Festa del cinema di Roma a staccare i biglietti delle pomeridiane, almeno arrotonda.

E così, mentre il partito democratico vorrebbe unire e integrare, si scopre che il vero accorpamento lo ha fatto in quattro e quattr’otto Silvio il Virile a Villa Certosa con un grappolo di figliole che certo non stavano a interrogarsi sui valori del progressismo europeo.

Umiliante per il centrosinistra e drammatico per Veronica Lario, che non ha potuto neanche sfogarsi su Repubblica perché il giornale s’è messo in sciopero pur di non umiliarsi con 20 pagine al giorno dedicate al grande circo dei congressi. Com’è noto, De Benedetti aveva prenotato la tessera n. 1 del partito democratico, ma quando gli hanno detto che non valeva per entrare gratis allo stadio ha fatto “tiè!”.

In attesa di unificare, il non-nato partito democratico ha spaccato i diessini e lesionato i margheritini. In compenso, però, ha innescato delle spinte unitarie per le quali non lo odieremo mai abbastanza: i socialisti, per bocca di Boselli, annunciano una nefasta riunificazione dopo anni di litigi tutt’altro che metaforici, Bertinotti e Diliberto si lanciano segnali d’amore e strizzano l’occhio ai transfughi dei Ds.

All’orizzonte, poi, si pone la drammatica questione del simbolo. Dopo querce, ramoscelli d’ulivo, margherite, rose nel pugno, garofani, compromessi storici bonsai, quale prezioso frutto della natura incarnerà la politica del terzo millennio? Se la leadership va a Veltroni quello sta in fissa con l’Africa ed è capace di scegliere la banana. E allora evviva il partito col bollino.
democratici di sinistra quarto congresso nazionale dl la margherita rutelli
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lunedì 16 aprile 2007

“Fuori dall’Italia gli stranieri sovversivi!”

Scatto d’orgoglio degli italiani dopo la battaglia con i cinesi a Milano. Vabbè che siamo esterofili però se ce le vengono a dare di santa ragione a casa nostra, allora no.

A Milano già nel weekend centinaia di famiglie hanno cacciato di casa i domestici filippini. Per noi gli occhi a mandorla sono tutti uguali – hanno detto – e che ne sappiamo che dietro l’apparenza di un bravo stiratore di camicie non si nasconda un folle rivoluzionario che da un momento all’altro ti scatena la guerriglia in salotto?

Rivolta anche nelle scuole di salsa. Schiere di cubani, sospettati di usare il ballo per scopi sovversivi, sono stati brutalmente allontanati dal nostro paese nella convinzione che i pasitos e la rueda siano pericolosi segnali in codice per organizzare un’insurrezione di stampo castrista.

Ma il vero subbuglio patriottico è nelle strade. Gli italiani si sono messi a pulire i vetri ai semafori con il chiaro intento di gettare sul lastrico i più esperti polacchi, ai quali l’insaponatura del parabrezza serviva solo ad avvelenare gli automobilisti con letali sostanze chimiche.

Vita dura anche per i vu’ cumpra’ nordafricani, accusati non di concorrenza sleale – ché quella anzi fa comodo – ma di introdurre in Italia oggetti e capi d’abbigliamento pericolosamente anti-cristiani. Molti pakistani sono già in carcere perché tra i petali di rosa nascondevano microscopiche cimici con cui ascoltare le conversazioni casalinghe del nemico.

L’ondata sciovinista si abbatte anche sul mondo della prostituzione. Milioni di italiani riscoprono la genuinità del Made in Italy e cancellano dai loro gusti erotici le procaci nigeriane, le minorenni albanesi, i viados brasiliani, accusati di propagare malattie esotiche micidiali, capaci di ridurre in pochi anni gli italiani a minoranza etnica.

Nei cantieri non si trovano più rumeni. Mattone dopo mattone costruivano case di cui si sarebbero impadroniti dopo la ribellione di massa che ormai era pronta a scattare. E nelle campagne gli agricoltori organizzano ronde nazionaliste per scovare tutti gli africani impegnati nella raccolta degli ortaggi. Fingono di spezzarsi la schiena – accusano i contadini – ma in realtà piantano il seme della rivolta per spodestarci dalle nostre terre.

Furibonda, poi, la cacciata delle badanti e delle baby sitter peruviane, ecuadoregne, moldave e chi più ne ha più ne metta. Un esercito di mamme inferocite le accusa di plagiare i figli di pura razza italica, insegnando loro a parlare, mangiare e comportarsi da stranieri. Con un metaforico calcio del sedere le autorità hanno rispedito in patria anche i pizzaioli egiziani. L’onta di una quattro formaggi fatta da un mezzo nero che parla arabo non era più tollerabile.


Che gli italiani facciano sul serio e non accettino compromessi etnici con nessuno lo dimostra il voltafaccia di migliaia di anziani cumenda, che hanno ricondotto in Ucraina le loro stupende mogli ventenni e ora vanno a chiedere la mano alle zitelle di paese.
sindaco letizia moratti rivolta cinesi milano chinatown via paolo sarpi
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giovedì 12 aprile 2007

Lettera a uno studente bullo

Caro studente, gli avvenimenti degli ultimi tempi ci insegnano che c’è aula e aula. In quella scolastica si previene, si reprime, si punisce, in quella parlamentare si insabbia, si condona, si degenera.

Prendi di buon grado la lotta al bullismo intrapresa dal Ministero della Pubblica Istruzione. Trattieni il tuo impeto banditesco per qualche anno, ché dopo gli studi è una pacchia: potrai scatenarti senza freno a delinquere e a commettere soprusi senza che nessuno emani quelle antipatiche direttive che oggi, quando sgarri, ti costringono a pulire le aule o a fare lavori di manovalanza per espiare la colpa.

Là fuori è meglio di Gardaland: commetti un reato e te lo depenalizzano, alle brutte vai sotto processo e ti danno la prescrizione, se proprio gli Dei ti sono contro finisci in galera e, oplà, arriva l’indulto.

Poi dice che la scuola non prepara alla vita. E ti credo, vorrebbero insegnarti la civiltà, la disciplina e il rispetto delle regole, ma sono skill che dopo il diploma non ti rivendi neanche morto.

Perciò, mio caro studente, ti dico tieni duro perché se da grande approderai in parlamento sentirai che musica: potrai fare il bullo con i tuoi deputatini da strapazzo, eletti solo per grazia ricevuta dalla segreteria politica di cui fai parte, ti sfizierai a ricattarli e minacciarli come più ti aggrada affinché si uniformino al tuo volere. E se non basta puoi menare le mani in diretta tv, senza prenderti il fastidio di filmare la scena e mettere tutto su Youtube.

Avrai forse letto le pompose linee guida del ministro Fioroni che vietano l’uso del cellulare durante le lezioni. Spegnilo pure e pensa a quando, finiti gli studi e diventato un maturo parlamentare, potrai giocarci a sbafo a spese dei cittadini anche mentre voti le leggi più delicate. Sai che gusto darci dentro col T9 mentre pigi distrattamente il pulsante verde o rosso per dire sì o no alle missioni militari o alla fecondazione assistita?

Ti dirò di più. Hai presente quando fai un’assenza e il giorno dopo devi portare la giustificazione firmata dai tuoi genitori sennò non entri? In parlamento salti tutte le sedute che vuoi e ciccia se cade il governo.

Se poi sei omosessuale è come essere in una botte di ferro: a scuola ti fanno sentire una merda e tu magari fai pure la sciocchezza di ammazzarti. In parlamento di omo e lesbo ce n’è a pacchi, ma vige il segreto, il silenzio, l’omertà. Di certo non hai mai visto un deputato dire “Zitto frocio!” durante un dibattito in aula e non hai sentito una senatrice apostrofata con “Pussa via, brutta finocchia!”.


Insomma, caro, sii paziente e comprensivo con i tuoi attuali tutori dell’ordine. Contieni il tuo talento delinquenziale, la tua smania di sopraffazione, la tua inclinazione alla codardia. Verrà il tempo in cui potrai realizzarli appieno.
bullismo teppisti regolamento scolastico liceo scientifico classico preside punizioni
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pubblicato su MC

martedì 10 aprile 2007

Samuele, il bambino benefattore

Bruno Vespa Enrico Mentana Vittorio Corsi Paola Savio Corte Assise Torino Carlo Taormina indagini carabinieri ris - fonte: Rainews24Si chiama Samuele Lorenzi ed è il più grande datore di lavoro in Italia. Pur essendo morto all’età di soli tre anni, ha lasciato uno straordinario impero economico che risucchia giornali, televisioni, libri, politica e che a cinque anni dalla sua uccisione mostra segni di eccezionale floridezza.

Samuele ha dato ordini precisi prima di farsi ammazzare. Mentre un mestolo di rame o forse uno scarpone gli apriva ferite mortali, lui dettava istruzioni testamentarie per trasformare il suo assassinio in un propellente per l’economia.

E dunque quel bimbo che nessuno ha conosciuto, il suo corpo che nessuna tv ha mostrato, il killer che nessuno ha incastrato, l’arma che nessuno ha trovato, tutto ciò doveva diventare un’industria al servizio del paese.

Solo oggi la nazione comprende, grata, il supremo sacrificio di Samuele: il business televisivo è rinvigorito, le rotative dei giornali sudano giorno e notte, gli editori gonfiano il petto e il portafoglio, persino la macchina giudiziaria, intristita da un decennio di processi alla classe politica, ritrova slancio con un thriller d’altri tempi.

Ci guarda dall’alto, Samuele, e osserva compiaciuto la generazione di giornalisti e conduttori che fanno carriera in suo nome, il branco famelico di consulenti, psichiatri, criminologi, fotografi, preti, opinionisti ai quali il suo sangue ha regalato una visibilità insperata. E ne vede tanti altri che darebbero anche loro il sangue pur di entrare nel gioco e ricavarne denaro e popolarità.

Il bambino benefattore sa che oggi potrebbe essere ricevuto al Quirinale come Cavaliere di Gran Croce, invece da lassù fa il modesto e guarda la madre Annamaria Franzoni difendersi alla disperata dall’accusa di figlicidio. Non gli importa se è stata lei e se l’imminente sentenza di appello confermerà la condanna a 30 anni, lui pensa al suo disegno imprenditoriale.

Samuele, casomai, è teso perché lo spettacolo giudiziario potrebbe essere agli sgoccioli e con esso il gigantesco indotto lievitato in cinque anni. Sarebbe, questo sì, un delitto, proprio adesso che il processo di Cogne riesce a generare lo zero virgola qualcosa del Pil, dopo aver rivoluzionato i palinsesti, sbaragliato i reality, monopolizzato i talk show, scatenato i paparazzi, solleticato sceneggiatori e pubblicitari, appassionato milioni di italiani.


Per questo, e solo nell’interesse dell’Italia, il piccolo mecenate vorrebbe ribadire quanto contenuto nel testamento e cioè che le forze possenti della comunicazione, della politica, della chiesa, della magistratura rallentino la conclusione del processo o ne garantiscano un epilogo controverso e avvelenato, che possa rendere onore al business così coraggiosamente avviato dal giovane Samuele.


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giovedì 5 aprile 2007

Cronaca sadomaso di un pieno di benzina

I sexy shop falliscono, i professionisti del fetish perdono il posto, gli attrezzi del piacere sessuale urlano vendetta da quando esiste lui, il pieno sadomaso di benzina.

Vuoi mettere le stupide fruste o le banali minigonne in cuoio nero con il brivido perverso di avvicinarsi a un distributore? Lo vedi dalla statale, metti la freccia e già ti coglie un fremito peccaminoso alla vista del tabellone: il costo della benzina vola oltre 1,30 euro al litro.


Benzina verde non perché inquina meno ma perché ti lascia al verde. È proprio questo che ti stimola le zone erogene molto meglio dei vecchi e noiosi preliminari. E poi quella dicitura “prezzo consigliato” è così eccitante: sembra che nessuno ti imponga nulla, sei tu che vai liberamente incontro alla libidine.

Sul piazzale devi scegliere: ”Fai da te” o “Servito”. No, il fai da te ricorda una pratica poco onorevole e allora ti butti sul servito. Arriva il tuo dominatore in tuta d’ordinanza e mentre le palpitazioni ti vanno a mille gli sussurri con lussuria “Il pieno!”.

Non c’è stivale in latex, non c’è incatenamento o sottomissione bendata che regga il confronto con quella mano unta che apre il serbatoio e vi infila dolcemente la pistola, lasciandola per minuti a depositare il suo miracoloso propellente. Potresti impazzire a vedere quel tubo di gomma che si allunga a dismisura e che vibra sotto l’impeto voluttuoso del carburante. Dio, non ti par vero che quel prodigio sia tutto per te!

Guardi il display che segna un euro dopo l’altro, poi 10, 20, 30, fin quasi a 80 e a quel punto il tuo subbuglio ormonale ti sembra al culmine. È una libidine paradisiaca, ma ancora non ti appaga: sei determinato a varcare le frontiere dell’ebbrezza masochista e allora pensi che il dominatore in tuta d’ordinanza ti sta truffando mettendoti meno benzina di quella che appare sul display.


Non resisti, senti che il godimento sta diventando estasi ed emetti gridolini erotici davanti alla pompa. È allora che il dominatore scuote la tua carne con il colpo di grazia: due bollini, che sommati agli altri 148 fanno una superba padella antiaderente.

Le membra ti tremano di piacere e percepisci la bava che si fa strada nella tua bocca: “Sì, mi dia anche una pulita al parabrezza, oh sìììì, lentamente… e prenda questo euro di mancia”.

Riparti sgommando, ancora sconvolto dagli spasmi di piacere. È fuori discussione usare il trasporto pubblico, compiere un gesto di civiltà, rispettare l’ambiente e risparmiare soldi quando da automobilista puoi vivere l’esperienza di essere scorticato vivo con tale sadica maestria.

Improvvisamente ti coglie il panico che tutto questo possa finire da un giorno all’altro. Rabbrividisci al pensiero di tornare al distributore e trovare la benzina a un costo ragionevole.

Ma no, scioccone che non sei altro. Sai bene che se il prezzo del petrolio aumenta, le compagnie petrolifere chiedono al governo un decreto per alzare i costi alla pompa. La richiesta è rapida e il decreto pure. Se invece il prezzo del barile cala o l’euro si rafforza sul dollaro, il costo della benzina resta tale e quale a causa, dicono i petrolieri, delle tensioni geopolitiche internazionali.


Sei rincuorato. Poi ti viene in mente che per ogni centesimo di aumento del prezzo del carburante lo Stato incassa 20 milioni di tasse in più. La tua eccitazione riprende vigore e schiacci con piede virile l’acceleratore per bruciare il tuo pieno in men che non si dica e tornare nell’Eden del piacere.

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lunedì 2 aprile 2007

I veterosessuali del Vaticano

Bisogna finirla di prendersela con il Vaticano sulla questione dei Dico. I capi della Chiesa cattolica non sono eterosessuali, né omosessuali e nemmeno bisessuali o transessuali. Sono veterosessuali e quindi è ingiusto dargli addosso se esprimono quella visione anacronistica del sesso e dell’amore a cui sono tanto affezionati. Il divorzio, il preservativo e adesso i Dico.

Mica uno deve essere per forza a favore delle unioni di fatto etero e gay. La conferenza episcopale italiana ammonisce i politici a comportarsi da bravi cristiani, e che sarà mai. Se i parlamentari si sentono precettati vuol dire che sono invertebrati e leccapiedi e quindi è un problema loro e di chi li ha votati.

E poi cardinali, vescovi e arcivescovi ci avranno riflettuto mille volte prima di uscire allo scoperto. Proviamo a immaginarli riuniti in conclave nelle stanze vaticane mentre spremono le meningi per trovare un tema su cui scatenare l’offensiva moralizzatrice. Non un argomento qualunque, ma un argomento sul quale la Chiesa cattolica possa dettare diktat senza avere rimorsi di coscienza.

Per prima cosa, saggi come sono, i membri del conclave hanno escluso la guerra: avendo fatto quel po’ po’ di Crociate non hanno il fegato di ordinare al Parlamento l’abbandono di tutte le guerre. E vabbè, passi la guerra, però una denuncia contro la tortura la possiamo fare, avranno pensato i più illuminati. Macché, e l’Inquisizione dove la metti? Hai idea di tutti i poveracci che abbiamo maciullato?

Pensa e ripensa, hanno provato a buttarsi sui diritti delle donne e la parità dei sessi. Dai, si fa una bella reprimenda sulla dignità delle donne e sul loro insostituibile ruolo nella società, è roba che va sempre di moda. Poteva funzionare, accidenti, se non fosse stato per quei falò contro le presunte streghe, per l’avversione contro l’aborto e per l’invincibile tabù del sacerdozio femminile. Se la Chiesa – ha sentenziato il conclave - non ritiene degna la donna neanche di pronunciare un’omelia è meglio non sbilanciarsi sul tema. Questa sì che è avvedutezza.

A un certo punto la scelta iniziava a complicarsi, perché anche la pedofilia era stata esclusa dagli argomenti, per così dire, papabili. Quando un monsignore ha alzato la mano proponendo una battaglia culturale a tutela dei minori è stato sommerso da una caterva di “buuu!”, “a casa!”, “ma hai bevuto?”.

Il conclave ha poi scartato con indignazione l’ipotesi di una campagna a favore del progresso etico e scientifico: non tanto per la questione della fecondazione assistita, delle cellule staminali, dell’eutanasia, ma per quel malinteso con Galileo che proprio non ci voleva.

Tra i convenuti iniziava a serpeggiare il panico: possibile che non ci sia un diavolo di argomento che possiamo affrontare senza rimetterci la faccia? Taglia di qua, boccia di là, erano arrivati a discutere della equità fiscale e della trasparenza finanziaria. Sembrava il tema giusto per lanciare un’offensiva in grande stile, ma anche lì sono venute fuori le grane: privilegi, esenzione Ici, trattamenti di favore, otto per mille. E ci potevano pure stare se un avvedutissimo cardinale non si fosse ricordato dello scandalo Marcinkus. Oh, benedetta la memoria! Grazie Eminenza, ha evitato un capitombolo d’immagine alla Chiesa!

Il conclave stava terminando in disfatta, niente di niente su cui dare istruzioni alle folle. Poi il lampo di genio: un vescovo timido e piccolino si alza tremolante, la fronte sudata, e urla “Le unioni gay, le unioni gayyyy!”. È stato il tripudio: berrette lanciate in aria, cardinali che facevano la ruota, “gimme five” che si sprecavano.

La macchina belligerante si è messa in moto: nota pastorale, giornali e tv, family day, prediche nelle parrocchie per dire mai e poi mai alle coppie di fatto, soprattutto se sono gay o lesbiche. Le unioni omosex sono contro la famiglia, contro Dio e contro natura, che argomento perfetto!

A dire il vero anche la gravidanza di Maria è avvenuta contro natura e in ogni caso gli uomini dovrebbero essere tutti uguali di fronte a Dio, il quale non si formalizza se ti piace questo o quell'organo sessuale.


Ma a questo punto nessuno se l’è sentita di andare per il sottile. La Chiesa va dritta sulla strada della condanna e casomai propone un’estrema mediazione: ok alle unioni tra omosessuali purché ogni volta che fanno gli sporcaccioni vadano a confessarsi e versino un obolo, così almeno il mercato delle penitenze si vivacizza. Veterosessuali sì, ma col portafoglio gonfio.


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