giovedì 29 marzo 2007

I soldati italiani: "Siamo stufi di fare le femminucce!"

“I marines hanno le carte da gioco con i bersagli da eliminare, a noi il Ministero della Difesa c’ha dato i tarocchi per sapere se la mattina dopo saremo ancora vivi”. I militari italiani impegnati in Afghanistan escono allo scoperto dopo che il Parlamento ha deciso di tenerli in terra talebana senza modificare le regole d’ingaggio, che stabiliscono quando e come usare la forza e più in generale quale comportamento assumere nelle situazioni critiche.

“Mio figlio fa lo scout nei Lupetti – sbotta un caporale – e ha regole d’ingaggio più permissive delle nostre: se uno gli fa un gavettone, lui è autorizzato a dargliele di santa ragione. Qui se un talebano ci tira una molotov, al massimo possiamo rispondergli a soreta!”.

“Le sembra un blindato questo?”, si lamenta un giovane maresciallo. “Guardi le ammaccature sulla fiancata, sono le sassate dei guerriglieri. Glielo dico io: ‘ste portiere le avranno fatte a Mirafiori con gli scarti della Duna. Ogni volta è così: pattugliamo il territorio, loro ci tirano una gragnuola di pietre e noi zitti e mosca. Sa che è successo ieri? Eravamo su un cingolato per una missione delicatissima – scoprire se l’oppio afgano è proprio quello che ci fumiamo in caserma – e a un certo punto babazum!, un botto pazzesco: un camion pieno di miliziani ci ha speronato per farci sfracellare nella scarpata. Io mi vergogno a dirlo, ma abbiamo dovuto fare il Cid perché è scritto a pagina 8 delle regole d’ingaggio!”.

Non si trattengono neanche gli ufficiali: “È dura essere lo zimbello dei nostri alleati. In teoria tutti siamo autorizzati a sparare di fronte a un atto ostile, ma per gli americani anche un rutto è un atto ostile, mentre con la nostra difesa passiva dobbiamo tollerare pure i missili anti-carro perché il Parlamento dice che potrebbero essere le celebrazioni del santo patrono. Sa, i Talebani festeggiano a loro modo. Ma ci venga il ministro a rimetterci la pelle in nome di San Maometto, qua ogni giorno sembra San Silvestro, altro che storie!”.

“Ci ridono in faccia – continua un tenente – anche le migliaia di guardie private di ogni paese: loro reagiscono, fanno fuoco, insomma si sfiziano un mondo e nessuno si lamenta. L’altro giorno, per pietà, due bodyguard inglesi sono venuti nel nostro accampamento a regalarci il dvd di Platoon tanto per darci qualche brivido. Umiliante! Alla Nunziatella ci addestrano al combattimento, ci esaltano con la patria di qua e la patria di là e poi ci mandano in giro a fare le femminucce. Guardi che è frustrante stare in panchina!”.

Non si dà pace un povero sergente: “Più che regole di ingaggio, regole di linciaggio. Il nostro paese produce una marea di armi di prima qualità, oh se ne produce: belle, luccicanti, potenti, vendutissime proprio in Medio Oriente, letali e di design, un vero gioiello del Made in Italy. E a noi che ce ne torna? Un fico secco! Il nemico ci lancia le bombe a mano e noi rispondiamo gagliardi con le fialette puzzolenti”.

“E pensare che lo Stato - dice un carrista quasi alle lacrime - spende centinaia di milioni di euro per tenerci qui. Dove diavolo finiscono tutti quei soldi? Manco avessimo uniformi Dolce & Gabbana o spigola al cartoccio per cena. A me mi tocca guidare un mezzo corazzato che alla sola vista di un mortaio si piscia sotto. Sa che voce gira tra di noi? Che da forze armate siamo diventate forse armate”.


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lunedì 26 marzo 2007

Quando il capo vi scopre sui siti hot

In barba alla privacy il datore di lavoro ci spia la posta elettronica e i siti che navighiamo. In un'azienda che si rispetti i responsabili dei sistemi informativi sanno vita morte e miracoli dei loro colleghi e sotto sotto se la ridacchiano pure. E il Garante che fa? Con un provvedimento fresco fresco vieta di ficcare il naso nelle email e nella navigazione web dei dipendenti pubblici e privati, perché ciò costituirebbe un controllo a distanza dell’attività lavorativa, vietato dallo Statuto dei lavoratori.

Orbene, qual è il rovescio della medaglia? Che da oggi i controlli potrebbe farli l’amministratore delegato in persona, che annulla la distanza e piomba in stanza per coglierci in flagranza. È proprio in quell’istante, quando il nostro posto inizia a scricchiolare, che dobbiamo sfoderare sangue freddo e giustificarci anche di fronte all’evidenza. Ecco qualche suggerimento per chi viene colto in castagna.

Stavate aggiornando il vostro blog personale
Buttatevi sul pietistico. “Ma insomma, dottore, è da stamattina che ho postato sul blog e ancora nessun commento! Eppure guardi qua, ho lanciato un dibattito sul bacio omosex tra Luca Argentero e Pierfrancesco Favino in Saturno contro. Le sembra tollerabile che su un argomento di tale portata culturale alle 4 del pomeriggio ancora nada de nada? Voglio dire: non crede che i navigatori italiani siano sempre più rammolliti?”.

Stavate ammirando un sito a luci rosse sui segreti del Kamasutra
Se vi riesce questa siete grandi: “Mi hanno incaricato di raffinare le nostre tecniche di… ehm, di posizionamento. Sa, è per i motori di ricerca”.

Stavate scaricando un mp3 di Anna Tatangelo
Fate emergere il Furio che è in voi: “No, non mi disturba affatto, esimio amministratore delegato! Vede, stavamo testando l’effettiva ampiezza di banda della connessione aziendale. Scaricando “Essere una donna” in 54 secondi abbiamo calcolato una velocità di download quattro volte inferiore rispetto agli standard garantiti dal fornitore. Considerato anche, egregio top manager, che il controllo è stato eseguito in orario di basso intasamento della backbone, ne consegue un costo spropositato sostenuto dall’azienda per una banda che dicesi larga, ma che larga non è”.

Stavate scrivendo su Messenger: “L’amministratore delegato è stronzo”
Sopracciglia inarcate e smorfia di stizza: “Accidenti a questa tastiera! Sbronzo, volevo scrivere sbronzo”. “Lurido precario che non sei altro, secondo te sul lavoro sono ubriaco?”. “Niente affatto, onnipotente. Casomai lei è ubriacante per come dirige l’azienda e per come sa motivare i dipendenti”.

Il vostro avatar era su Second Life a rubare borse di Gucci sul lungomare di Miami
Impostate un tono di voce convincente stile Quark: “Di fronte a una simulazione di business così evoluta, signor dottor amministratore, lei potrebbe equivocare. Ma sappia che le vecchie proiezioni fatte in Excel vanno accantonate se vogliamo essere al passo con i competitor”.

Stavate aprendo un powerpoint inviatovi da un’amica, dal titolo “Sei Nazioni Hot”
Arcuate le braccia da esperti conferenzieri: “Non trova che queste membra ammucchiate, questo groviglio di muscoli insanguinati, queste gambe possenti che spingono all’unisono, questi miscugli umani in cui si diventa un sol corpo, ecco non trova che tutto ciò sia un pregevole esempio di team building che la nostra azienda dovrebbe prendere a modello?”.

Su YouTube stavate guardando il nuovo spot Vigorsol in cui uno scoiattolo spegne un incendio con una gigantesca scorreggia
Giocatevi con coraggio il vostro bagaglio culturale: “Non si faccia trarre in inganno, mio dotto amministratore delegato. Trattasi di un mirabile esempio di creatività applicato ai più moderni principi semiologici. Osservi come, di fronte alle fiamme della barbarie, il rapporto tra significante e significato produca un’immagine acustica che estingue l’innata ignoranza dell’individuo. Insomma, il mondo salvato da uno Scorreggiattolo”.

Stavate sbirciando il meglio del reality “Un due tre… stalla!

Qui dovete contare sulla scarsa vivacità neuronale del vostro amministratore delegato. Se è sufficientemente bassa (quasi sempre lo è) non vi scuserete di nulla, anzi rischiate pure di beccarvi una promozione.

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giovedì 22 marzo 2007

Tutti invidiosi di Mastrogiacomo

Tutti come Daniele Mastrogiacomo. Tra i giornalisti e conduttori italiani impazza una nuova moda: farsi rapire in Afghanistan per lanciarsi nell’Olimpo dell’informazione e diventare d’un botto reporter con le palle.

A che serve sorbirsi decenni di gavetta – si sono chiesti i troppi giornalisti disoccupati o mortificati in ruoli indegni – quando basta farsi acchiappare da un fricchettone afgano per assurgere alle vette della celebrità?


A noi – si sfogano – qualche settimana di reclusione in una grotta ci fa un baffo a confronto delle umiliazioni quotidiane inflitteci dal caporedattore o dal direttore di rete. E pazienza se rischiamo la cotenna, l’obiettivo è diventare il personaggio del momento e rientrare in Italia con la medaglia del trionfatore.

Il primo a fiondarsi sull’aereo per Kabul è stato Luca Giurato, che darebbe l’anima pur di non alzarsi più alle 4 del mattino per andare a Saxa Rubra e intervistare l’omeopata di turno. Ora vaga in cerca di gloria nei massicci montuosi dell’Afghanistan ululando terrificanti gaffe ai guerriglieri e sognando di spedire a Uno Mattina il drammatico video della sua prigionia.

Daria Bignardi ha scelto invece un altopiano desertico per la sua personale crociata. Resasi conto che fare le invasioni barbariche in uno studio televisivo è da fessi, si è lanciata all’arrembaggio in terra straniera con un solo obiettivo: fare un’intervista barbarica al capo dei mujaheddin con domande tipo “È vero che sua moglie guarda il wrestling via satellite?”, “Si farebbe strappare la sua sciocca barba da quel mattacchione di Bush?”. Diciamo che dovrebbe bastarle per conquistare un lungo internamento.

Quando Mastrogiacomo è sceso dalla scaletta con le braccia alzate manco fosse Cannavaro, Giampiero Galeazzi non c’ha visto più dall’invidia e ha deciso che non voleva morire commentando un autogol di Pancaro. Preso il coraggio a quattro mani, ha cercato sulla cartina il villaggio di talebani più infame del paese ed è andato lì ad urlare anatemi contro la legge islamica in stile “Abbagnale”. Atterriti i talebani: “Oddio, il Buddha di Bamiyan! Ma non lo avevamo demolito con l’esplosivo?!”.

Tra le mine antiuomo si aggira già da giorni Barbara Palombelli, che irrompe nelle scuole coraniche afgane inneggiando ai matrimoni lesbo. Brutalmente scaraventata in una caverna con la lauta prospettiva di un riscatto, è stata subito sputata fuori dopo aver confessato di essere la moglie di Rutelli, quello di plis, plis. “Abbias nullah deij akaz!” ha urlato l’Imam, che nell’idioma locale vuol dire “Quello conta meno di una fava!”.

Sciagurata, infine, la sorte di Aldo Biscardi, che ormai confinato su 7Gold si era giocato il tutto per tutto arrampicandosi sul Passo del Salang a 3.800 metri e sottoponendo uno squadrone di miliziani a un turpe moviolone. Agghiaccianti le conseguenze: scambiato per un glorioso mullah a causa del suo italiano perfettamente identico alla lingua pashtu, è attualmente trattenuto sulle vette montuose del paese, dove viene venerato e costretto ad officiare tutti i rituali di preghiera.

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lunedì 19 marzo 2007

Clamoroso: Federico Moccia si mette a vendere lucchetti!

scusa ma ti chiamo amore tre metri sopra il cielo - fonte: repubblica.itÈ bastata un’intercettazione telefonica malandrina ad abbattere il mito dei giovanissimi, quel Federico Moccia classe '63 che con i suoi romanzi adolescenziali sta mietendo popolarità e guadagni.

L’autore di “Ho voglia di te” è stato beccato mentre dal suo cellulare ordinava l’acquisto in massa di azioni di una multinazionale dell’acciaio per lucrare al massimo sull’enorme domanda di lucchetti, che ormai vengono venduti a milioni.

E sì, perché il Vangelo secondo Moccia impone il lucchetto come nuovo simbolo dell’amore eterno. Gli esegeti dei suoi romanzi ci insegnano che il lucchetto va chiuso attorno ai lampioni di Ponte Milvio a Roma e la chiave va subito gettata nel Tevere.

Moccia era riuscito a respingere le accuse degli ecologisti, che non vedevano di buon occhio il lancio di ferraglia nel fiume, dopodiché hanno constatato che le sostanze chimiche del Tevere non solo vivacizzano il colore delle acque ma impiegano due minuti netti per mangiarsi qualsiasi tipo di metallo.


Poi ci si sono messi i soci della Canottieri Lazio, indignati per la pioggia di volgarissime chiavi invece delle monetine di Fontana di Trevi: “Lì c’hanno gli euro e la Dolce Vita, qui c’abbiamo quattro chiavi puzzose e le trote fosforescenti!”.

Ma il peggio è arrivato quando Moccia ha rischiato di essere accusato di omicidio colposo per il guazzabuglio di alcuni passaggi del suo libro, in cui s’avventura nelle subordinate, sbaglia le virgole e s’impappina coi verbi, generando interpretazioni scorrette delle sue istruzioni amorose.

Circolano drammatiche notizie di tredicenni che hanno chiuso il lucchetto e poi si sono gettati nel Tevere convinti di rispettare il Verbo di Federico. Qualcuno giura di aver visto un liceale buttare il lucchetto in acqua e poi ingoiare la chiave e pare che due anziani coniugi abbiano addirittura sbagliato ponte, rischiando di finire in bellezza il loro amore sotto un Eurostar.

Intanto nelle palestre si fa razzia di tutto: con i lucchetti dirottati altrove, i ladri imperversano negli armadietti e ringraziano Moccia, che dal canto suo ha subito rigettato le accuse di essere il palo. “Al massimo potrei fare il palo della luce a Ponte Milvio”, ha scherzato lo scrittore prima di attaccarsi un lucchetto al naso.

Ma ormai il fenomeno Moccia è dilagato: romanzi, film, blog, conferenze, programmi tv. Il lucchetto come simbolo dell’amore a vita è una rivoluzione per i romantici e anche per le tasche dei maschietti, che non dovranno dissanguarsi più per un comprare un diamante. Basta un salto in ferramenta e te la sei sfangata.

Insomma, tutto sembrava filare a meraviglia, poi quella incauta telefonata con cui Moccia rastrellava azioni di un colosso dell’acciaio, dimostrando un fiuto per gli affari almeno pari al suo talento letterario e rivelando che i romanzi erano solo un pretesto per buttarsi nel business del metallo.


Nella drammatica intercettazione si sentono frasi del tipo “Me vojo compra' 'n pezzo de 'sta multinazionale, che mo' vennemo ri lucchetti e poi vennemo 'e cesoie e ri martelli da carpentiere a tutti gli sfigati che se mollano”.

Una catastrofe. Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti hanno detto che se ci sarà un processo per conflitto di interessi si costituiranno parte civile, pur ignorando del tutto il significato dell’espressione. I fan sono sgomenti e organizzano ronde in tutta Italia per scarabocchiare i manifesti del film e cambiare il titolo in modo da adattarlo alla sete di denaro del loro ex scrittore preferito: “Ho vaglia di te”.

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venerdì 16 marzo 2007

I transessuali: non è vero che andiamo a politici!

Questo post è stato pubblicato anche su Panorama.

Esasperati dalle calunnie di Vallettopoli e stufi di essere pedinati dai fotografi, i transessuali si ribellano alla gogna mediatica cui da tempo sono sottoposti.

“Ci siamo rotti di prendercela nel didietro per colpa di questo o quel fotografo!”, esordisce Tatiuska. “Mica ci possiamo sputtanare la reputazione perché in tv dicono che andiamo a politici o a ex regnanti! Non c'è nulla di vergognoso a stare con un trans, casomai siamo noi a sentirci diffamati quando sui giornali ci associano a certa gente”.

“Ma secondo voi - si sfoga Esmeralda - io mi sono pagata un’operazione coi controfiocchi per finire così? A questo punto ve la dico tutta: secondo voi mi sono fatta fare una vagina da zero con la pelle del pisello per poi farmi sleccazzare da quegli infami dei politici, che in Parlamento si prostituiscono ben più di noi?”.

“A che serve – piagnucola Boobinda jr. - prendere estrogeni per una vita e spendere un patrimonio per le cure ormonali se poi basta un rampollo qualunque per rovinarti? Ve lo ricordate quello che a Torino per sniffare e fare sesso stava quasi crepando, no? Se nella nostra categoria c’è una mela marcia che si compromette con un soggetto simile, non è che dobbiamo rimetterci tutti”.

“Porca zozza, porca!”, puntualizza Gianfiliberta. “Lo sapete quanto sono stata in lista per l’operazione, eh? E non fatemi pensare al calvario terapeutico e legale che mi sono sorbita, sempre a garbugliare con psicologi, chirurghi, consulenti e tribunali. Ora non accetto che un articolo di giornale mi mandi tutto, scusate, a gambe all’aria”.

Gertrudo è un FTM, cioè una donna diventata uomo, e ha già deciso di tutelare davanti al giudice la propria onorabilità: “Ogni giorno ci facciamo un mazzo così, nel vero senso della parola, e poi sui giornali ci ritroviamo mescolati a parlamentari, calciatori e imprenditori di ogni risma. Finché ci diffamano con gli immobiliaristi, passi, ma a questo punto ci metterà bocca l’avvocato... e non fate ironie fuori luogo, quando ero donna mi sono fatto asportare tutto l’ambaradan e m’è toccato prendere un lembo di avambraccio per farmi impiantare una specie di uccello. Altro che storie!”.


“Io lascio – piagnucola Sibillya – mollo tutto e torno all’Inps a fare i cedolini. Nel nostro mestiere già ci rimetti la faccia e il tuo buon nome, anche letteralmente, perché sul tram devi sorbirti la smorfia schifata del controllore quando ti guarda la carta d’identità. Ecco, se alla fine devo pure giocarmi la reputazione allora buonanotte”.

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mercoledì 14 marzo 2007

George el triunfador

bush viaggio america latina lula brasile - fonte: whitehouse.govD’accordo la politica, d’accordo gli interessi sovranazionali e le grandi strategie commerciali e d’accordo pure la necessità di superare la Storia e guardare avanti.

Però Bush che va in Sudamerica a stringere mani e a sculettare agitando le maracas è credibile come Putin che va in Cecenia a offrire vodka a tutti.

Occhi sgranati e bocca spalancata, ho visto il capo degli Stati Uniti che, malgrado le proteste di piazza, ha girovagato per l’America Latina abbracciando bimbi che vivono nel fango, ballando con l’abito presidenziale in villaggi derelitti, sorridendo a gente che mangia meno del suo scottish terrier.

bush viaggio guatemala - fonte: whitehouse.govE ho pensato a quei poveracci della Gialappa’s, delle Iene, della Dandini che si fanno un mazzo per regalarci qualche scampolo di ironia e di satira.

Poi il grottesco lo trovi nei titoli dei tiggì e stenti a credere che quell’uomo che coccola un niño messicano, abbraccia una danzatrice brasiliana, accarezza uno scolaro colombiano, porta cassette di lattuga guatemalteca, quell’uomo incarna proprio il paese che in Sudamerica ha disseminato armi, soldati, agenti segreti e ha sparso sangue, provocato golpe, saccheggiato risorse, fatto affari colossali, perpetuato il sottosviluppo.

 george bush scuola sud america - fonte: whitehouse.govVabbè, il miope sono io che non comprendo le logiche superiori di un tale gesto e il valore di riappacificazione che può avere per il futuro. È solo che mi fa strano, come mi farebbe strano vedere Lupin e Zenigata che se la ridacchiano giocando a tressette.

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lunedì 12 marzo 2007

Cose da odiare: i diritti di prevendita

Come un dogma incontestabile, come una piaga divina, come un’espiazione anticipata delle nostre future colpe, i diritti di prevendita ci accolgono a braccia aperte quasi ogni volta che compriamo un biglietto.

Essa, la prevendita, è quel simpatico balzello che gonfia il prezzo del biglietto del teatro, del concerto e di altri spettacoli. Il giorno in cui venisse istituito il Premio Internazionale della Bizzarria, la Nostra sarebbe certamente in zona medaglia.

Tutti hanno sperimentato la piacevole esperienza di acquistare un biglietto con settimane o mesi d’anticipo e leggerci su la scritta “costo 30 euro, diritti di prevendita 7 euro, totale 37 euro”. Forse è lì, in quel momento, con l’entusiasmo del tagliando appena preso che sotto sotto dovremmo avvertire una vaga sensazione di inchiappettamento.

E allora dovremmo chiedere all’egregio organizzatore perché ci punisce con una tassa mentre noi gli stiamo facendo incassare dei soldi in anticipo, sicché lui non solo si mette in tasca un bel gruzzolo molto prima del concerto, ma può gestire meglio l’organizzazione perché sa quanta gente verrà.

Non è dato sapere quale meccanismo governi i diritti di prevendita. Ho interrogato la Logica la quale, intenerita dalla banalità della domanda, mi ha risposto che chi prima acquista dovrebbe essere premiato per la fiducia data allo spettacolo. Se proprio si vuole pelare qualcuno, lo si faccia con il negligente schizzinoso che compra all’ultimo minuto.

E inoltre – ha aggiunto la Coerenza che proprio voleva dire la sua – si può sapere a quanto diamine ammontano i diritti di prevendita? Il 7%, 10%, 15%, di più, di meno? Come darle torto: ogni volta il balzello assume una percentuale a sorpresa, per cui nessuno riesce a verificarne l’appropriatezza (ammesso che esista) e la conformità ad eventuali leggi.

Non è dato sapere, insomma, se quegli euro in più dipendono dalla rilevanza dell’artista o dal sadismo del produttore, se sono legati al luogo di svolgimento dell’evento o alle fasi lunari, se scaturiscono dal costo delle maestranze o dalla corsa Tris all’ippodromo.


Ma evidentemente è una supposta che non fa male, perché non vedo alcuna seria mobilitazione contro questa odiosissima tassa. Allora prenderò una contromisura individuale: la prossima volta che mi chiederanno di pagare i diritti di prevendita chiederò io il diritto di pre-ascolto, così se il concerto è una cagata li mando subito a ramengo. Senza preavviso.

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venerdì 9 marzo 2007

Il paese di Benny Hill

rutelli nuovo marchio italia sito web turismo 45 milioni
C’era solo un modo per attrarre più turisti stranieri in Italia: la comicità. Francesco Benny Hill Rutelli ci è riuscito meglio di tutti perché da ministro del turismo ha capito che era inutile insistere con la solita pappa di arte, cultura, pizza e Ferrari.

Con il portale italia.it giunge a compimento la straordinaria strategia di promozione del nostro paese, tutta basata sull’effetto comico puro, dirompente, vorticoso, che ti cattura il turista e te lo catapulta in Italia.

Una coraggiosa operazione diplomatico-commerciale, iniziata con lo scoppiettante kapò-show al parlamento europeo, proseguita con le sfiziosissime corna in un vertice internazionale e spintasi fino al nuovo logo ufficiale dell’Italia, di cui pochi hanno colto l’effetto esilarante, quello che neanche un Luca Giurato al massimo della forma saprebbe dare.

Un secolo dopo Marinetti abbiamo sovvertito il buonsenso e l’autocontrollo, abbiamo messo in gioco la nostra salute mentale per balzare oltre le colonne d’Ercole del marketing e risucchiare i turisti con la risata a crepapelle, lo sganasciamento comico, le convulsioni delle viscere.

Non poteva fallire, la nostra Patria, e difatti non ha fallito se è vero che il Financial Times ci ha prontamente riconosciuto un genio farsesco al limite della mental health, salute mentale.

Lo vedo, il truce fiscalista norvegese, che si fionda in Italia finalmente strappato alla sua infelicità. Zompetta gaio verso il paese della risata dopo aver visto Rutelli che gli dà il benvenuto con un video in inglese che polverizza il “denghiu” di Biscardi e va dritto dritto negli annali: plis, visit our country, plis, plis. Dove visit, come ci insegna il Financial Times, vuol dire proprio visita medica urgente.

Ma il truce norvegese è un uomo rinato. Con i crampi allo stomaco si butta sul primo aereo Alitalia, dove si convince di aver scelto il massimo dell’avanspettacolo mondiale. Ma solo quando giunge sul sacro suolo della comicità scopre che nel più importante evento italiano, il festival della canzone, ha trionfato la malattia mentale. Allora ha ragione il Financial!

Ebbene sì, se Erasmo aveva elogiato la follia, noi la applichiamo alla tourist promotion e puntiamo dritto alla componente insana che alberga in ogni turista, quella che gli fa preferire una colossale risata agli ammuffiti standard di un paese efficiente.

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martedì 6 marzo 2007

Ricariche Wind: arancioni sì, ma di rabbia

Non è Wind ad essere arancione, sono i suoi clienti a diventare fucsia dalla rabbia. Come Bush usa le risoluzioni Onu per impacchettare i cheeseburger e va a bombardare il mondo ogni volta che gli aggrada, così Wind aveva fatto un pernacchio a Bersani decidendo di non abolire i costi di ricarica per i tagli da 10 e 25 euro.

O meglio li aveva aboliti solo per chi passava ai nuovi piani tariffari, presumibilmente più cari. Solo nelle ultime ore, subissata dalla rivolta dei clienti, dell’Authority e delle associazioni dei consumatori, ha deciso di eliminare tutti i costi di ricarica.

Non so quanto prendano i legali di Wind, ma io non li accetterei neanche come comparse a Forum. Mi sembra di vederla la riunione in cui era stata presa la decisione anti-Bersani: un bel tavolo ovale in noce, salatini e acqua minerale, amministratore delegato, direttore commerciale e una decina di legali, di cui cinque laureati al Cepu, quattro stagisti freschi freschi con cravatta modello Tecnocasa e un avvocato di grido che da piccolo sognava di fare il fotografo di moda perché quelli sì che sono scatti.

Già mi chiedevo che diamine gli avrebbero fatto dire a Aldo, Giovanni e Giacomo. Nel nuovo spot Aldo poteva chiamare zia Caterrrina e dirle “Miiiii, lo sai che Giacomo è passato a uno dei nuovi piani Wind senza costi di rrricarica ma con tariffe più alte?” e a quel punto si vedeva un Tafazzi ululante che si infliggeva i suoi meravigliosi e micidiali colpi.

Quanti Tafazzi ci sono tra i clienti Wind? Cioè quanti di essi non decideranno di passare a un altro operatore dopo un simile pasticciaccio?

Gli uffici legali delle multinazionali sono in subbuglio. Se il governo proverà ad abbassare il prezzo della benzina vedo già l’Agip che fa lo sconto solo a chi passa a un’auto nuova, come pure se calerà il prezzo dei farmaci la Roche praticherà il ribasso solo a chi passa a uno dei nuovi profili patologici studiati dall’area marketing. Per i fannulloni che si tengono il vecchio morbo, tanti saluti e niente sconto.


Io non sono cliente Wind, però li aspetto al varco. La prossima volta che una trentacinquenne co.co.co. sottopagata di Wind-Infostrada mi chiama a casa a ora di cena per propormi un contratto Adsl-flat-tutto-incluso-chiamate-illimitate-senza-canone le dirò che accetto solo se Wind passa a nuovi dirigenti che non trattino i clienti come perfetti beoti.


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sabato 3 marzo 2007

Un ministro, due Camere, tre dimensioni

treno alta velocità ministero infrastrutture lavori pubbliciAntonio Di Pietro è stato il primo politico a capirlo. Con i tempi che corrono si è reso conto che se vuole combinare qualcosa di buono l’unico modo è farlo in una dimensione virtuale. E quindi da pochi giorni l’Italia dei Valori è traslocata su Second Life, dove ha comprato un isolotto, ci ha piantato sopra la bandiera e lo sta attrezzando per accogliere simpatizzanti e giornalisti.

La verità è che in Second Life le infrastrutture te le costruisci con il mouse e Di Pietro non vede l’ora di farsi la Salerno-Reggio in un paio di settimane e di costruire la Tav senza quei rompicoglioni degli ambientalisti.

Second Life è un mondo dove non devi litigare con centinaia di interlocutori per trovare un lurido compromesso, è un mondo dove Rossi e Turigliatto li puoi mettere su uno yacht pieno di strafighe, così affanculo Trotskij e vedi se alla prossima ti votano contro.

Insomma, se il governo non concluderà una fava Di Pietro potrà dire “Non mi hanno lasciato lavorare! Invece guardate su Second Life quante cose ho fatto, datemi la stessa libertà d’azione nella vita reale e vedrete cosa riesco a fare”.

Avremo in 3D tutte le infrastrutture che ci aggradano e ‘sti cavoli se le vedrà solo chi ha un super Adsl e una scheda grafica da paura. Giuro che mi farò il mio avatar e spenderò i miei bravi Linden dollars per viaggiare su autostrade nuove di zecca e su treni che vanno davvero ad alta velocità.

La trovata dipietresca è geniale. A quest’ora un Berlusconi violaceo starà licenziando a calci Bondi & Co. perché tutto gli hanno fatto fare in questi anni tranne che aprirsi una vita parallela per dispiegare appieno la sua smania di cambiamento. In Second Life lui avrebbe fatto leggi che quelli dell’Unione se le sognano e sarebbe andato in giro in bermuda a fare il mollicone senza che Veronica potesse dirgli un’acca.


Ora la frontiera è stata varcata: i politici prenderanno voti reali per realizzare opere virtuali e a fine mandato potremmo valutarli non per come sono stati ma per come sarebbero potuti essere. Si dice che internet favorisca la democrazia. Non so se è proprio questo il senso, ma va bene lo stesso.


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giovedì 1 marzo 2007

Gesù fa il marketing manager

vaticano potere ingerenza politica - immagine tratta da www.intimacywithgod.com
Quando si dice la fede. A Torre Annunziata un parroco s’è inventato la carta fedeltà per attirare i bambini in chiesa. Nei mesi scorsi don Antonio Ascione ha distribuito una fidelity card da riempire con otto bollini: una messa domenicale un bollino, due messe due bollini, e così fino a otto celebrazioni rigorosamente consecutive. Chi alla fine è stato sempre presente ha potuto portarsi a casa ricchi premi: rosari di legno, crocifissi, vangeli tascabili, quadretti con immagini religiose, bibbie, icone di santi e madonnine. Più o meno lo stesso meccanismo dell’ipermercato o dei benzinai.

Ha capito tutto don Antonio. Se la Chiesa perde consensi per il suo ostinato anacronismo, tanto vale puntare sul marketing. Del resto, se lo Stato fa la patente a punti perché non riesce a educare gli automobilisti al rispetto delle regole, una parrocchia potrà pure istituire un concorso a premi se non riesce a catturare fedeli con il richiamo genuino della fede.

Quindi via i confessionali e sotto con le slot machine: gioca e rigioca alla fine otterrai la combinazione giusta per emendare i tuoi peccati. E a chi prende la comunione ogni giorno, l’ostia domenicale verrà servita con una fettina di San Daniele. Per chi si sposa in Chiesa ci sarà un succulento buffet in sagrestia nonché una buona parola del vescovo per farti assegnare una delle case popolari appena costruite dal Comune.

Io me l’immagino la scena: i bambini in coda all’ingresso come succederebbe davanti a una discoteca, le catechiste che annotano le presenze e il parroco che consegna i punti. Ormai il fedele è a tutti gli effetti un cliente della più antica e potente multinazionale del mondo, l’unica che può vantare sedi e avamposti anche nei paeselli più sperduti.


A questo punto mi aspetto una sana e leale concorrenza tra parrocchie. La gente deciderà volta per volta in quale chiesa recitare il Padre Nostro mettendo a confronto le offerte, i premi, gli sconti e i favori. Però non ditelo a San Francesco.